26 febbraio 2008

Spazio giochi

Inizia così una serie di post che intendo dedicare ai miei ricordi d’infanzia perlopiù prima dei dieci anni, il periodo che reputo il più spensierato e felice della mia vita, quando tutto era un gioco sorprendente, avventuroso, emozionante…
Così mano a mano che riaffiorano le cose mi piace scriverle perché non si perdano per sempre nella mia memoria a volte un po’ birichina.

Da bambina sono vissuta in una casa in campagna, in un piccolissimo paese sconosciuto ai più.
La costruzione era grande vecchia e malconcia, ma la dividevamo con i vicini ed i nonni, cosicché per noi diventava piccina (ma di questo parleremo in un altro momento) la cosa interessante era che sul davanti c’era un’ aia, irregolare con un po’ di cemento spianato a mo’ di marciapiede davanti al portico e dell’erba, recintata al confine sud da un pollaio, baracche di ogni tipo e un cancello di rete che permetteva al carro grande di passare (solo in seguito al trattore!).
Al confine est si estendeva una rete verde che divideva la proprietà dei vicini con tre alberelli bassi, larghi e puzzolenti disposti dalla casa fino all’angolo a sud dove svettava il ricovero degli attrezzi / fienile riassunto col nome di “barco”, una costruzione antica, di legno scuro e marcio, chiusa completamente sul lato nord ed est, ma la sua architettura per me è indescrivibile…
Al solo avvicinarsi si udiva il gran lavorio dei tarli su quelle vecchie travi; è sempre stato un posto misterioso e un po’ pauroso per me il suo piano inferiore mai del tutto esplorato.
Il pavimento era fatto di terra battuta e muschiosa, nello spazio sotto il fienile c’erano tanti di quegli attrezzi d’epoca, carri, mobili raccattati chissà dove, e poi la legna accatastata, ragnatele ovunque, gli scaloni a forma di “A” appesi con un sacco di altre cose indescrivibili… ma poi c’era quella scala verticale, fatta proprio di rami d’albero, mica come quelle di adesso, quella portava al paradiso!
Era il fienile, sempre mezzo pieno di quella secca erba inutile, dato che non c’erano più le mucche come anni addietro, un posto caldo, sicuro, un covo soffice soffice, profumato e scricchiolante, là si poteva stare tranquilli da tutto e da tutti, ci si poteva nascondere quando si giocava a nascondino con i rari amici, coccolare e scaldare in mezzo alla paglia o saltare e scatenarsi alzando nuvole di polvere (e le ire dello zio che poi risistemava tutto).
Quello era anche il posto preferito delle gatte mezze selvatiche per partorire i loro micini, così quando non avevano più la pancia il primo posto dove guardare era lassù, con attenzione, tra le assi sul perimetro o sulla paglia più alta e quando li trovavi… mamma mia che belli quei gattini con gli occhietti ancora chiusi e già le unghie lunghe e graffianti, mucchietti di pelo caldo che potevi tenere un po’ in braccio prima di venire sorpresi da un soffio minaccioso della mamma gatta. Poi lei la stessa notte li spostava e tu non li trovavi più finchè non crescevano… così non si lasciavano più accarezzare e diventavano selvatici come gli altri, uffa, solo disposti a chiedere da mangiare e mai una coccola!
Il confine ovest del giardino era fatto dal garage di lamiera (altro posto interessantissimo) attaccato al pollaio e dalla rete che si estendeva fin dietro la casa, da dove si entrava con la macchina per una stradina di ghiaia e un cancello di legno e rete, in seguito sostituito da uno in metallo (credo costruito proprio dal mio papà) e verniciato di verde. Non so perché ma ogni cosa di metallo veniva verniciata sempre di quel verde scuro… Eppure adesso che ci penso forse c’è stato anche un cancello arancione e ruggine… boh!
Così arriviamo a nord dietro la casa dove c’era un altro pezzetto di erba con al centro un altro albero puzzolente di cui non so il nome, verso est era parcheggiata la cisterna della nafta per scaldarsi d’inverno con un mucchietto di calcinacci davanti, poi attaccata alla casa c’era la grande pianta di ortensie i cui fiori variavano dal blu al rosa con enormi foglie verde scuro e un po’ di pidocchi sempre attaccati, e infine all’angolo nord ovest c’era il pino, alto magro e odoroso di resina che però era malaticcio ed infine è stato abbattuto, anche lui… come la casa.
Questa la sommaria descrizione del mio principale spazio di giochi… una varietà infinita di luoghi misteriosi da esplorare, pertugi bui e paurosi o luminosi spiazzi aperti.
Ci sono così tante cose da raccontare che non saprei da dove iniziare… beh vorrei solo descrivere il muschio per oggi… io non ho mai visto un muschio più vellutato e verde di quello che cresceva in ombra a quella vecchia casa. In tanti altri posti ho visto questo vegetale, ma dappertutto è barboso e giallognolo e lungo e filaccioso, invece quello era incredibilmente compatto, morbidissimo lucido e fitto e non puzzava! Con il muschio si potevano decorare le tortine di terra e sabbia, si poteva fare il presepe (ma si sporcava troppo perciò era proibito portare terra in casa), ma soprattutto non ti sbucciava le ginocchia quando ci cadevi sopra, ti inverdiva solo un po’ gli indumenti ma era soffice e attutiva ogni botta. Gran bella cosa il muschio… mi manca!

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